Lavoro

Codice Disciplinare – Predisposizione e Contenuto

Il datore di lavoro non può validamente procedere all’applicazione di sanzioni disciplinari se, prima dell’infrazione, non abbia predisposto e pubblicizzato il codice disciplinare (contenente “le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse” ex art 7, co. 1, Stat. lav.).

Il codice disciplinare deve “applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano” (art. 7, co. 1, Stat. lav.); in mancanza di accordo, secondo un orientamento, può essere predisposto unilateralmente dal datore di lavoro.
Esclusività di un solo codice. Nella stessa azienda non può trovare applicazione più di un codice disciplinare. Conseguentemente, qualora in azienda siano applicati contemporaneamente più contratti collettivi, ognuno con le proprie norme disciplinari, spetta al datore di lavoro, con atto unilaterale, stabilire una sorta di “testo unico in materia disciplinare”.

Proporzionalità e chiarezza. Sia il datore di lavoro che il contratto collettivo devono rispettare, a pena di nullità della sanzione, il principio di proporzionalità tra infrazione e sanzione, sancito dall’art. 2106 cod. civ.
Il codice, inoltre, deve rendere chiare le ipotesi di violazione, sia pure in forma schematica e non dettagliata, indicando le sanzioni corrispondenti. In questo ambito, la giurisprudenza oscilla tra le pronunce che richiedono una specifica predeterminazione della sanzione applicabile per ciascuna infrazione e la posizione che ritiene non necessaria un’analitica predeterminazione delle infrazioni e, in relazione alla loro gravità, delle sanzioni corrispondenti.

In particolare, nell’ambito di tale ultimo indirizzo, si ritiene che nel codice non sia necessario inserire tutti i possibili illeciti, dovendosi distinguere tra quelli relativi alla violazione di prescrizioni strettamente attinenti all’organizzazione aziendale, per lo più ignote alla collettività e, quindi, conoscibili solo se inserite nel codice disciplinare e quelli costituiti da condotte manifestamente contrarie agli interessi dell’impresa e dei lavoratori, che non richiedono una espressa inclusione nel codice in quanto possono legittimare il recesso per giusta causa o per giustificato motivo sulla base del potere sanzionatorio derivante direttamente dalla legge.

In tale prospettiva, dunque, all’interno del codice, non è necessario indicare le cause di licenziamento disciplinare “intimato per specifiche ipotesi di giusta causa o giustificato motivo previste dalla normativa collettiva e validamente poste dal datore di lavoro”, poiché, in tale ipotesi, si fa “riferimento a situazioni giustificative del recesso previste direttamente dalla legge e manifestamente contrarie all’etica comune e concretanti violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro”. Dunque, “riconoscibili come tali senza necessità di specifica previsione“.

In altri termini, il licenziamento disciplinare è valido anche in assenza del codice disciplinare, laddove i comportamenti del lavoratore, contrari agli obblighi fondamentali del rapporto lavorativo, si traducano in una sostanziale violazione di legge. Così, possono non essere indicati nel codice disciplinare comportamenti di rilievo penale, come le molestie sessuali unitamente a quei fatti il cui divieto risiede nella coscienza sociale e che, come tali, non richiedono di essere portati a conoscenza specificatamente dai dipendenti attraverso un codice disciplinare.